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Written by: Super User
Category: Uncategorised
Published: 24 June 2015
Hits: 2833

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Diremare teatro - La paga del sabato 3

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Written by: Super User
Category: Uncategorised
Published: 18 June 2013
Hits: 4521

 


Sirolo - apertura stagione teatrale "Sipario Aperto - Franco Enriquez"

Il Centro Studi "Piero Calamandrei" 
in collaborazione con  
Diremare Teatro

nel 50° anniversario della morte dell'autore
presenta

di Beppe Fenoglio

la paga del sabato

adattamento e regia di
Alessandro Varrucciu
con
Francesca Uguzzoni
Silvia Uguzzoni
Alessandro Varrucciu

e con
gli Onafifetti


 

Note di regia

Il nostro lavoro su Beppe Fenoglio (Alba, 1 marzo 1922 – Torino, 18 febbraio 1963) nasce non solo dall'amore per le sue storie, ma anche dall'interesse per il suo stile, per come ha costruito le sue narrazioni, in quel modo così efficace e meravigliosamente complicato. Come altri scrittori della sua generazione, Fenoglio scrive di temi resistenziali ma, con l’eccezione di Calvino (ci riferiamo in particolare a “Il sentiero dei nidi di ragno” e a racconti come “Ultimo viene il corvo”, per esempio), trovare somiglianze o convergenze con altri scrittori è davvero difficile. Lo sguardo dello scrittore partigiano non concede niente né alla retorica né alla propaganda politica: benché la sua scelta di campo sia netta, decisa ed inequivocabile, tuttavia non si esime dal descrivere situazioni “poco edificanti” anche nella parte alla quale appartiene. Pensiamo, per esempio, al partigiano Blister che, benché protagonista anche di azioni importanti, viene fucilato dai propri compagni perché colpevole di un furto a danno di una famiglia di contadini (racconto Il vecchio Blister inserito nella raccolta I ventitrè giorni della città di Alba). Un altro esempio illuminante potrebbe essere l’incipit del racconto che dà il titolo alla suddetta raccolta I ventitrè giorni della città di Alba:  “Alba la presero in duemila il 10 ottobre e la persero in duecento il 2 novembre dell’anno 1944”. Ripetiamo, la scelta di Fenoglio, uomo e scrittore, non lascia ombra di dubbio e non a caso Calvino, che tanta importanza ebbe nella vita artistica di Beppe Fenoglio , nella prefazione al già citato Il sentiero dei nidi di ragno, ebbe a dire: “… Ma ci fu chi continuò sulla via di quella prima frammentaria epopea contemporanea: in genere furono i più isolati, i meno inseriti a conservare questa forza. E fu il più solitario di tutti che riuscì a fare il romanzo che tutti avevamo sognato, quando nessuno più se l’aspettava, Beppe Fenoglio, e arrivò a scriverlo e nemmeno a finirlo (Una questione privata), e morì prima di vederlo pubblicato, nel pieno dei quarant’anni. Il libro che la nostra generazione voleva adesso c’è, e il nostro lavoro ha un coronamento e un senso, e solo ora, grazie a Fenoglio, possiamo dire che una stagione è compiuta, solo ora siamo certi che è veramente esistita: la stagione che va dal Sentiero dei nidi di ragno a Una questione privata.”

Una decina di anni prima ad Una questione privata, lo scrittore langhigiano si era misurato con un altro romanzo, La paga del sabato, pubblicato postumo (amaro destino, quello di Fenoglio, in tutti i sensi). Quest’opera ci presenta uno scrittore diverso, ovviamente meno padrone degli strumenti tecnici ed espressivi che tanto lo caratterizzeranno nella sua attività futura. Tuttavia, il romanzo ha una sua decisa forza, una bellezza selvaggia, istantanea. I personaggi principali sono ben delineati, riconoscibili; la trama ricorda i film noir ed il suo svolgimento  ha un ritmo sostenuto e senza intralci di sorta. Certo, il romanzo La paga del sabato, da un punto di vista "formale" presenta meno difficoltà di altre opere fenogliane, pensiamo soltanto al Partigiano Johnny.

Le difficoltà le incontriamo, invece, se pensiamo alla storia raccontata nel nostro romanzo ed ai suoi personaggi: protagonisti maschili così poco inseriti ed allineati,  moralmente deprecabili (Ettore e Bianco, ex partigiani che diventano veri e propri gangster, si macchiano di delitti vari...); il tema dell'amore che diventa quasi una questione di forza, dove il sesso e la sensualità trovano una loro dimensione chiara e preponderante (come ben poche altre volte si era "visto" in precedenza, se ci limitiamo alla letteratura italiana); la violenza, fisica e verbale, che caratterizza il rapporto di Ettore con la madre. Ecco, diciamo che, forse, sono proprio la tensione, la pesantezza dei rapporti tra i personaggi a rendere La paga del sabato un testo "complicato" da rappresentare se ne vogliamo restituire la veridicità espressiva senza abbandonarsi a clichés e ad interpretazioni isteriche e di maniera.

Il nostro adattamento teatrale interviene direttamente sulla struttura del romanzo originale, creando due percorsi distinti della storia del protagonista Ettore, come se fossero due romanzi, che solo verso la fine si ricongiungeranno per arrivare all’epilogo finale: il Romanzo del reduce e il Romanzo di Vanda, ai quali sono dedicati i due atti dello spettacolo.

Fenoglio affermava che scriveva “… per un'infinità di motivi. Non certo per divertimento. Ci faccio una fatica nera. La più facile delle mie pagine esce spensierata da una decina di penosi rifacimenti."

Ecco, quindi, che la “fatica nera” di Fenoglio diventa una ricchezza inestimabile per noi, che lavoriamo sulla parola, sul suo significato, e ci chiediamo come quella parola possa essere trasmessa, pronunciata, affinché nel passaggio dall’opera originale  (romanzo e/o racconto) all’adattamento teatrale essa non perda di forza, di significato, di incisività, di bellezza.

Alessandro Varrucciu

 

DireMare Teatro


trailer dello spettacolo


 

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"io non mi trovo in questa vita perché ho fatto la guerra,

e la guerra mi ha cambiato, 
mi ha rotto l'abitudine a questa vita qui"

 


 


Il disagio
del reduce

Primo romanzo di Beppe Fenoglio, scritto nel 1949-50, ma pubblicato postumo nel 1969, La paga del sabato affronta senza pregiudizi il delicato tema del reducismo, del difficile ritorno ad una regolare vita civile da parte di giovani la cui vita è stata profondamente segnata dagli orrori della guerra. La Resistenza all’occupazione tedesca è finita, ma la Liberazione non ha portato i benefici tanto attesi, e per la società italiana si apre un periodo di sconvolgimenti sociali che vedrà l’affermarsi di una nuova civiltà industriale, con il suo appariscente e contraddittorio progresso. Di questo disagio si fa interprete Ettore, il protagonista che rifiuta il posto offertogli nella nuova fabbrica di cioccolata di Alba per trascorre lunghe giornate inquiete e inattive, segnate da vivaci contrasti con la madre, dall’amore per Vanda, dal coinvolgimento in traffici loschi, fino all’incidente che stronca sul

nascere l’acquisizione di una nuova coscienza. Giudicato severamente da Elio Vittorini, che ne stigmatizzò il taglio cinematografico spingendo l’autore a sacrificarlo in favore di due racconti, il romanzo appare oggi rivalutato, tanto da essere definito da Alessandro Baricco, “il vero gioiello” della narrativa fenogliana.

Luca Bufano, aprile 2013




martedì 13 agosto 2013

 


RAI - tg Marche
servizi e recensione della rappresentazione
al Teatro Cortesi di Sirolo

 

 

{flv}la_paga_del_sabato|440{/flv}


 

 






 

 

 



del 31 agosto 2013

 

 


“La paga del sabato”
di Beppe Fenoglio,
il Centro Calamandrei di Jesi
ne ripropone
la rappresentazione teatrale

Dettagli

“La paga del sabato”, fu una delle primissime prove letterarie di Beppe Fenoglio, che l’autore definì “ … un frutto, piuttosto difettoso, anche se magari interessante, di una mia cotta neoverista che ho ormai superata”. Scritto insieme ai Ventitre giorni della città di Alba rimase inedito fino al 1969. Rappresenta per certi versi il seguito delle vicende della guerra partigiana che Fenoglio aveva mirabilmente raccontato.

Si tratta di un romanzo (anche se sarebbe più appropriato parlare di "racconto lungo") che affonda le proprie radici nel nostro dopoguerra, nella disillusione percepita da tutta quella generazione di combattenti che, riponendo nella Lotta di Liberazione le speranze di un cambiamento sostanziale del nostro Stato, aveva poi visto quelle stesse speranze tradite da una gestione del potere apparentemente democratica, da una povertà diffusa e non combattuta, dalla mancata epurazione dall’amministrazione dello Stato di coloro che avevano appoggiato il fascismo (italialibri.net).
Dal “racconto lungo” fu realizzato uno sceneggiato TV in tre puntate trasmesso dalla RAI nel 1975 che ha come principali interpreti Lino Capolicchio e Jenny Tamburi.
In occasione del cinquantennale della prematura morte dello scrittore (13 febbraio 1963) il “Centro Piero Calamandrei” di Jesi ha proposto una riduzione teatrale del “La paga del sabato” che ha riscosso un notevole successo. Di seguito proponiamo tre interventi che recensiscono, da punti di vista diversi, il riuscitissimo evento.


 

 

 

 

Un segno concreto e incisivo
nello scenario teatrale italiano

di Francesco Dorello *

Una rappresentazione teatrale degna della grandezza dell'omonimo romanzo breve cui si ispira,"La paga del sabato" e degna soprattutto dello spessore di uno dei maggiori scrittori della nostra letteratura del secondo '900 - volendo citare le precise parole espresse dal Presidente Emerito della Repubblica e Onorario del ‘Centro Calamandrei’ di Jesi, Carlo Azeglio Ciampi. Stiamo parlando di Beppe Fenoglio di cui corre il 50ennale della morte.
La performance portata in scena sabato scorso in prima nazionale al Cortesi di Sirolo, teatro stracolmo di bel pubblico, in occasione della apertura della XIV edizione di 'Sipario Aperto-Franco Enriquez', ha mostrato nitidamente tutti gli aspetti e gli ingredienti del tema del 'reducismo' e del malessere post-bellico inerenti alle difficoltà e ai disagi di chi ha vissuto la forte e cruda esperienza della Resistenza in prima persona;soprattutto nel delicato momento della reintegrazione nella società civile, con la annessa delusione per le mancate aspettative, visto che i grandi e attesi benefici che avrebbero dovuto portare le lotte partigiane e la conseguente fine dell'occupazione straniera, in realtà non si sono concretizzati completamente.
Lo spettacolo,praticamente diviso in due sezioni, ha visto,da una parte,proprio questa vicenda umana legata all'insoddisfazione del giovane protagonista Ettore, che preferisce trovare scorciatoie di comodo,illegali,ma di probabile,lusinghiero ed effimero successo, che non l'assoggettarsi alla 'servile' routine di un lavoro regolare; dall'altra parte la storia di un amore più passionale che romantica e sentimentale con Vanda, presentato in modo diretto e realistico, concreto sin troppo, vista l'epoca di concepimento del romanzo. Siamo nel 1949.Forse solo il Moravia degli 'Indifferenti' e della 'Romana' riuscì a tratteggiare e descrivere momenti sensuali simili, precorrendo audacemente i tempi.
La decisione di trasferire sul palco un testo come "La paga del sabato" potrà sembrare un 'azzardo', come molto spesso avviene in tali frangenti, ma la genialita' registica e le indubbie capacità di chi ha partorito questo adattamento hanno saputo trasformare l'azzardo in una occasione non mancata per valorizzare quegli aspetti teatrali e, a tratti, 'cinematografici' che proprio Vittorini aveva allora evidenziato,anche se in senso critico e negativo.
Ma i tempi sono cambiati e operazioni come queste in un teatro in costante evoluzione e di continua costruzione altro non fanno che arricchire l'opera originale dandole chiavi di lettura sempre più ricche e introspettive.
Plauso quindi ad Alessandro Varrucciu, regista e interprete con Francesca e Silvia Uguzzoni, per l'intervento teatrale perfettamente riuscito. Azzeccata la scelta delle musiche di scena nonché gli 'stacchi canori', ottimi a scandire e a sgravare le porzioni sceniche, a cura dello storico e inossidabile trio Onafifetti. In sostanza e in conclusione, un'esperienza che sicuramente avrà un seguito e che lascia un segno concreto e incisivo nell'attuale scenario teatrale italiano.
* (Musicologo e studioso d'arte, Modena)

 

 

 

 

La parola come universale comunicazione
di Francesco Romano*

La Paga del Sabato è un romanzo breve che affronta il delicato problema del difficile inserimento nella vita e nella società civile dei giovani protagonisti della resistenza.
La rappresentazione teatrale, in prima nazionale dell'omonimo romanzo, a cui ho assistito in un teatro Cortesi di Sirolo molto affollato, mi aveva indotto,  a caldo, a esprimere un breve e positivo commento.
A distanza di qualche settimana, dopo aver letto un articolo pubblicato su un  quotidiano del Trentino a cura di Francesco Roat su Antigone, la tragedia di Sofocle rappresentata per la prima volta nel 442 a.C., mi è venuta naturale un'ulteriore riflessione sul singolare adattamento teatrale di Varrucciu.
L'ammirazione per la coraggiosa regia, la bravura dei tre interpreti, la scenografia limitata all'essenziale e la parola come universale comunicazione, mi hanno spinto a tentare, con la presunzione di spettatore non certamente avvezzo a recensioni teatrali o di altro genere, un parallelismo tra l'ideazione del regista e il teatro greco antico.
La mia interpretazione, certamente soggettiva, vede in Ettore quello che gli antichi greci chiamavano “hybris” ovvero tracotanza, alla quale però corrisponde la “nemesis” la giusta punizione divina che colpiva l'empio, reo di aver peccato soprattutto di presunzione.
Varrucciu, a differenza degli antichi, che a fini educativi si servivano di racconti mitici, ha preferito servirsi del “logos”, il discorso razionale, senza allusioni e simboli, anziché del “mythos”, la narrazione di tipo metaforico poetico.
Esprimo un plauso al regista e agli interpreti dell'opera a cui ho assistito che hanno avuto il merito di emozionarmi in una calda serata di agosto.
*( Professore del Liceo Classico di Rovereto)

 

 

 

 

Colta metafora dell’epoca moderna
di Federico Bozzo *

Proprio la poetica originale di Beppe Fenoglio diventa protagonista dello spettacolo, rubando la scena perfino ai personaggi principali, che arrivano a raccontare la loro stessa storia in terza persona. Tecniche di metateatro spingono gli attori dietro a leggii che portano nel mondo della tragedia la carica del monologo d'invettiva, pur senza rompere l'empatia o distogliere lo spettatore dall'ambientazione dell'opera. Ambientazione, questa, riprodotta fedelmente nelle atmosfere, negli atteggiamenti e nei dialoghi portati sul palco da Varrucciu. L'attenzione, quasi maniacale, alla riproduzione del testo originale del Fenoglio, inneggia all'immortalità della poetica dell'autore, che tanto è calata in un'epoca precisa e circoscritta, quanto al contempo sembra studiata come colta metafora dell'epoca moderna.
Tre soli attori, non senza mostrare una certa maestria, interpretano i cinque personaggi principali dell'opera. Ettore, giovane di poco più di vent'anni, da poco tornato dalla guerra e totalmente alieno ai costumi e ai modi di una società che sente aliena e fasulla, comunque diversa da ciò che lui è diventato.
La madre di Ettore, incapace di comprendere le motivazioni del figlio e legata ad una mentalità pratica a lui inconcepibile. Bianco, compagno di Ettore, impegnato a "perdonare a rate" i comportamenti degli ex-fascisti.
Palmo, giovane al servizio di Bianco, a cui la vita ha riservato le stesse esperienze avute da Ettore, ma la cui semplicità ed ignoranza sono allo stesso tempo croce e salvezza, da una verità che forse è meglio non comprendere.
E infine Vanda, amante di Ettore, anch'essa in contrasto con le imposizioni della società in cui vive, sebbene per motivi diversi da quelli dell'uomo che ama.
Non è il tempo che detta l'avvicendarsi degli eventi nella versione di Varrucciu de "La paga del sabato", bensì la loro natura, essendo la rappresentazione divisa in due atti che riassumono le due più importanti espressioni di disadattamento sociale di Ettore: il lavoro e l'amore.
Le due sezioni alternano le parti recitate a brevi intermezzi musicali, realizzati dallo spumeggiante trio degli Onafifetti, dove uno stile da canzone popolare narra l'impegno della lotta partigiana nel vivo dell'azione, ricordando continuamente allo spettatore ciò che altrettanto frequentemente si riaffaccia alla mente del protagonista.
Un'opera fedele all'originale ed incredibilmente attuale allo stesso tempo. Due opposti solo in apparenza, i due volti di questa rappresentazione si compenetrano perfettamente, facendosi servi del gravoso ma nobile compito di dare tributo ad un  grande autore quale Beppe Fenoglio.
* (esperto di intelligenza artificiale, Genova)

 


 

 

 

Sirolo – Dal romanzo di Fenoglio
“LA PAGA DEL SABATO”
c’è la prima al Cortesi


Sirolo. Prima Nazionale al Cortesi di Sirolo “La paga del sabato”, tratto dal romanzo  mai rappresentato di Beppe Fenoglio, il 10 agosto, inaugurerà la nona rassegna “Sipario Aperto”. Una rappresentazione che affronta senza pregiudizi il delicato tema del reducismo, del difficili ritorno ad una vita civile da parte dei giovani, profondamente segnati dagli orrori della guerra. Per la regia di Alessandro Varrucciu, lo spettacolo vedrà protagonisti lo stesso Verrucciu, poi Francesca e Silvia Uguzzoni, nonché il gruppo jesino di satira “Onafifetti”.
Un appuntamento di rilievo, voluto e realizzato da Centro Studi Calamandrei di Jesi che, in questo caso, ha promosso la riduzione teatrale di uno dei  romanzi  più intensamente segnati dalla poetica del grande scittore piemontese. Lo spettacolo è stato presentato ieri a Sirolo, dal sindaco, Moreno Misiti e dal presidente del Centro Calamandrei, Gian Franco Berti. Lo stesso a cui il, presedente emerito della repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, ha scritto: “caro Berti, la riduzione teatrale de “La paga del sabato” è scelta eccellente per ricordare uno dei maggiori scrittori della letteratura del Novecento “. “ Uno spettacolo unico – ha detto il prof. Berti – che pone in luce il teatro di parola e il tema del reducismo, con tratti di sensualità”.
Dopo Sirolo e Jesi lo spettacolo farà tappa nei teatri del triangolo Torino-Alba-Cuneo.

Bruno Orlandini
dal “Resto del Carlino – Ancona giorno e notte” del 3 agosto 2013


“La paga del Sabato”, una prima nazionale per la
IX edizione del Franco Enriquez
SIROLO PORTA IN TEATRO FENOGLIO


Sirolo. Una prima nazionale per l’apertura della IX edizione di “Sipario Aperto – Franco Enriquez”.
L’appuntamento è da segnare in agenda: 10 agosto, teatro Cortesi, ore 21,15 . “La paga del sabato”, tratto dall’omonimo romanzo d’esordio di Beppe Fenoglio, è lo spettacolo che inaugurerà la rassegna con il suo carico di attualità e significati. Lo stesso sindaco Misiti, ieri durante la conferenza stampa di presentazione, ha tenuto a sottolineare l’importanza di una rappresentazione teatrale ispirata ad un grande scrittore di cui ricorre il cinquantennale della morte. L’evento, patrocinato dal Comune di Sirolo, verrà portato in scena, grazie anche al contributo di Cnh Fiat e Somacis spa, nell’interpretazione di cui è regista Alessandro Varrucciu, che ne ha curato anche l’adattamento teatrale e ne è protagonista assieme a Francesca Uguzzoni, Silvia Uguzzoni e lo storico gruppo jesino degli, Onafifetti.
L’aggancio con il, presente è evidente. “La paga del sabato” è infatti uno spaccato del reducismo post bellico e delle difficoltà di reinserimento nella società da parte dei partigiani. I disagi vissuti dagli ex combattenti, incapaci di chiudere quella esperienza e di tornare alla vita normale, “si rispecchiano nei problemi dei giovani di oggi che si trovano di fronte al bivio di scele cruciali sul lavoro e il futuro, nodi – spiegano gli organizzatori – che mettono a nudo la precarietà dell’animo umano. E oggi più che maiè grande la tentazione di ricorrere a scorciatoie per arrivare subito ai facili guadagni”.
Un testo dunque di grande introspezione psicologica, scritto con un linguaggio diretto, ed immediato che troverà la sua congeniale rappresentazione nella prima teatrale di Sirolo.

dal “Corriere Adriatico” del 03 agosto 2013

 

 

 


 

 

 


“LA PAGA DEL SABATO”
a SIROLO

Attori in scena insieme al gruppo Onafifetti
per la regia di Alessandro Varrucciu

Sirolo -  Che fosse la “delusione” il tema più importante, quello per cui scrivere grattando i muri della memoria, coi suoi eroi sospesi come un flash temporale, non tutti lo hanno capito. Quando Beppe Fenoglio scrisse “la paga del sabato”, intorno al 1946, con grande fatica come spesso ammise, c’è chi ci ha letto un romanzo che delinea il termine fra guerra e liberazione, fra “noi e loro” ma, soprattutto, cosa è significato ricominciare a vivere.
Il romanzo “La paga del sabato”, da alcuni definito cinematografico, o frutto di un neorealismo ante litteram, o , addirittura una sorta di noir con le cupe atmosfere da porto delle nebbie, è in realtà un inno alla delusione che la guerra, ha portato non solo a chi l’ha vissuta in prima persona ma anche in chi, come reduce dai combattimenti delle Langhe o nelle “quinte” che la desolazione ha lasciato intatte, si rimette in gioco una vita nuova.
Su questi temi il Centro Piero Calamandrei di Jesi, in collaborazione con Diremare Teatro, ha imperniato uno spettacolo teatrale di grande impatto emotivo. Per l’apertura della stagione teatrale Sipario Aaperto-Franco Enriquez, infatti, in occasione del cinquantenario della morte dell’autore, verrà presentato, il 10 agosto ed in “prima nazionale” al Cortesi di Sirolo, “La paga del Sabato”, con attori Alessandro Varrucciu, anche regista, Francesca e Silvia Uguzzoni, oltre agli Onafifetti. Varrucciu e Gian Franco Berti, presidente del Centro Calamandrei, sono partiti da un assunto che è universale, il reducismo.
La resistenza all’ occupazione tedesca è finita, ma la Liberazione non ha portato i benefici tanto attesi, e per la società italiana si apre un periodo di sconvolgimenti sociali che vedrà l’affermarsi di una nuova civiltà industriale, e di questo disagio si fa interprete Ettore, il, protagonista, che rifiuta il posto offertogli nella nuova fabbrica di cioccolata di Alba per trascorrere giornate inquiete e inattive, segnate da vivaci contrasti con la madre, dall’ amore per Vanda, dal coinvolgimento in traffici loschi, fino all’incidente che stronca sul nascere l’acquisizione di una nuova coscienza. Attori in scena insieme al gruppo Onafifetti che scandirà, in musica, i tempi in cui è diviso lo spettacolo. Il presidente emerito del  Calamandrei Carlo Azeglio Ciampi ha scritto a Berti, in occasione della “prima” di Sirolo, in una lunga lettera. Ecco cosa pensa, in breve, del lavoro di Fenoglio. “La paga del sabato” è scelta eccellente per ricordare uno dei maggiori scrittori della nostra letteratura del secondo Novecento.

Giovanni Filosa
dal “Corriere Adriatico – estate / cultura & spettacoli” del 26.07.2013


 

Italo Calvino all'Autore, 1950

"Sai centrare situazioni psicologiche particolarissime con una sicurezza che mi sembra davvero rara. I rapporti di Ettore con la madre e col padre, quei litigi, quei desinari in famiglia, e anche i rapporti con Vanda, e tutto il personaggio di Ettore; e certe cose della rivalità Ettore-Palmo: li' non sbagli mai la botta, hai coraggio, hai idee chiare su quello che fa e che pensa la gente, e lo dici... Non ultimo merito e' quello della storia di una generazione; l'aver parlato per la prima volta con rigorosa chiarezza del problema morale di tanti giovani ex-partigiani".

 

 

 

 


da ' La Repubblica' del 4 novembre 2012

UNA CERTA IDEA DEL MONDO / 49:
LA PAGA DEL SABATO DI BEPPE FENOGLIO

di Alessandro Baricco

 


 

Lorenzo Mondo
su 'La Stampa'

"L'energia, il piglio asciutto della frase appartengono gia' al miglior Fenoglio, soprattutto l'incalzante progressione dei fatti verso un destino imprevedibile, fulminato da un cielo vuoto. E almeno le figure della madre e di Bianco sono di rara potenza".

 

Geno Pampaloni
sul 'Corriere della Sera'

"...il tema portante e' l'irrequietezza, l'irritazione, lo scontento di chi torna dalla guerra e stenta a integrarsi nella mediocrità dell'esistenza quotidiana, sino a che, con la complicità dell'amore, il dopoguerra gli si spegne nell'animo e quella stessa mediocrità gli appare come un virile compito della speranza".
Quanto alle "illusioni" del 1945, ancora Pampaloni: "E' certo che la 'delusione' e' il tema poetico costante della miglior parte della nostra letteratura del dopoguerra, 'Gattopardo' compreso. Quella di Fenoglio non e' una delusione dichiarata in senso razionale o politica, ma squisitamente esistenziale, e cioè indefinibile, onnicomprensiva e 'sacra', nell'angoscia come nella rabbia: e l'esito finale e' la morte....che fa del Fenoglio, come del Pavese, il testimone e il poeta di una generazione 'incompiuta'".

 

Paolo Milano
su  'L'Espresso'

"L'influenza americana di racconti alla James Cain si intreccia a quella nostrana di Vittorini e Pavese".

 

Gina Lagorio
su 'Il Ponte'

"Perché 'La paga del sabato' e' un bel libro, che non meritava un giudizio sacrificatorio (quello "troppo cinematografico" di Vittorini- ndr), e Fenoglio che lo accettò si rivela, oltreché scrittore di razza, negli umani rapporti coi suoi giudici uomo di modestia e fiducia generosissime ....Tutta la storia vive non costretta in schemi letterari, ha un respiro libero e vero: non ci sono personaggi di una tipologia abusata, il bene e il male vi si mescolano come nella realtà quotidiana: Vanda ama con innocente tenerezza, ma si abbandona alla sensualità dei suoi vent'anni; la madre continua a perseguire un suo faticoso disegno di tranquillità economica, ma non ha perduto la sua femminile capacità di perdono e di comprensione....".

 


 

 

 


 

 


dal sacco di F.Antonicelli (B)

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Published: 04 June 2013
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dal
sacco senza fon
do 
di Franco Antonicelli

i quaderni pubblicati
dal c.s."Calamandrei"

***
CARA NATALIA
lettere, appunti,
ricordi inediti
di e su Leone Ginzburg

*
LE SCHEDE
RIVENDICAT
E
a cura di Paolo Fedeli

*
FU L'ALBA
appunti, discorsi,
scritti politici di

Franco Antonicell
i

*
CARTE
GOZZANIANE

a cura di
Franco Contorbia


 

Teatrotello - L'estate di S.Martino

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Published: 21 April 2013
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il Centro Studi "Piero Calamandrei"

in collaborazione con il
Circolo di Cultura Politica "Sandro Pertini"
ed il
Centro Studi Marchigiani "Ugo La Malfa"

presenta

Teatrotello.it
in

L'ESTATE DI SAN MARTINO DEL  '14

di Stefano Cerioni

regia di
Gianfranco Frelli
con
Luigi Bini nella parte di Benito Mussolini
e Massimiliano Bedetti nella parte di Filippo Tommaso Marinetti

 

 



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Lo spettacolo a teatro.
Il Centro Studi Calamandrei di Jesi, in collaborazione col Circolo di Cultura Politica “Sandro Pertini” e il Centro Studi Marchigiano“Ugo la Malfa”, è lieto di presentare in prima assoluta “L’Estate di San Martino del ‘14”, lavoro per il teatro di Stefano Cerioni in scena sabato 20 aprile 2013 al Teatro Studio Valeria Moriconi (regia di Gianfranco Frelli, con Luigi Bini nella parte di Benito Mussolini e Nicholas De Alcubierre nel ruolo di Marinetti).  ‘Anteprima' per gli studenti maturandi dei Licei Classico e Scientifico al mattino alle ore 10,30 con introduzione dello storico Prof. Marco Severini della Università di Macerata. Lo spettacolo inaugurerà il mese di Agosto a Sirolo la XIV edizione di "Sipario Aperto-Franco Enriquez".

Le premesse.
L'autore nella piece tenta un esperimento coraggioso ma storicamente corretto, costruito su fonti documentarie, commenti di storici, cronache di allora e personaggi realmente esistiti: spiegare come due forti personalità che presero decisioni fondamentali per la storia italiana costruirono il loro tempo ed edificarono (anche senza volerlo nei dettagli) il futuro di tutti noi. L’Italia l’11 novembre 1914 nicchiava in uno stato di attesa: costituitasi come nazione da poco più di quarant’anni, traballava tra l’intervento nel conflitto e una politica neutralista di pace. La Prima Guerra Mondiale era scoppiata quattro mesi prima, il 28 luglio 1914: aveva promesso di durare poco, ma in effetti andò alquanto diversamente. Si trasformò presto in una lunga e difficile guerra di trincea. L’occasione di prendere posto tra le potenti nazioni d’Europa era, però, unica, facendo gola a tutti, Re (Vittorio Emanuele III, il Re soldato) e Primi ministri compresi. La stragrande maggioranza del Paese tendeva la mano alla pace, fondando le proprie ragioni nella lunga tradizione cattolica e socialista. Come convincere un’intera nazione a diventare, da pacifica che era, improvvisamente guerriera e vincitrice?

L’azione.
Benito Mussolini si è appena dimesso da direttore dell’Avanti, testata di riferimento del Partito Socialista, e sta per assumere, pur tra mille difficoltà e impegni, la direzione del nuovo giornale: “Il Popolo d’Italia”. Succederà da lì a poco, solo quattro giorni dopo, il 15 novembre 1914. Eppure in questo momento è molto nervoso, sa di potersi fidare di pochi. I socialisti lo hanno appena abbandonato, la Milano del primo anteguerra dall’aria romantica e scapigliata dei Navigli navigabili non gli sembra più così ospitale e gentile come un tempo. Filippo Tommaso Marinetti, capo futurista ancora intento a creare l’avanguardia attraverso una continua e ossessiva reiterazione del messaggio, lo coopta a tradimento mentre ignaro si sta recando a un incontro con Filippo Naldi, non presente ma figura incombente. Mussolini è stupito di incontrare Marinetti che non conosce (non sappiamo se, in effetti, si incontrarono all’epoca, ma è molto probabile dati gli interessi in comune). Ha fretta, qualcosa sembra sfuggirgli, è indeciso. Era pacifista, sta diventando interventista. Non ha più un giornale, ha perso gli amici. Ne avrà presto altri. Ma intanto… Marinetti è sicuro di sé, saldo nei proclami e nelle convinzioni: ha sempre urlato: ‘Guerra, sola igiene del mondo’, non soffre affatto della situazione. Anzi… fiuta il pericolo in cerca di gloria.

Le suggestioni.
Le provocazioni, le utopie, le personalità tra i due uomini duellano a parole (ma non solo), mentre gli animi in contrasto si inaspriscono mettendo a nudo i caratteri. Escono pian piano le ragioni. Benito Mussolini, che solo qualche mese prima (giugno del 14) aveva sostenuto dalle colonne dell’Avanti socialista e rivoluzionario i moti popolari della settimana rossa, spaventa ancora tutti e pochi si fidano di lui. La possibile rivoluzione in Italia, in Germania e in Russia era appena mancata di scoppiare. La guerra, al posto suo, è scoppiata. Come fidarsi di un estremista che dice di passare dalla parte del governo, ma continua a definirsi socialista e a definire quotidiano socialista il giornale appena fondato?



foto di Adriana Argalia

 


 

Capire i motivi per cui la storia si 蠦atta come la conosciamo non è facile. Stefano Cerioni, l'autore, con "l’Estate di San Martino del ‘14", tenta un esperimento addirittura azzardato: spiegare come i personaggi che hanno preso le decisioni per farla hanno costruito il loro tempo. Benito Mussolini (protagonista della pièce teatrale), l’11 novembre del 1914 da poco non era più il direttore dell’Avanti, testata di riferimento del Partito Socialista, e stava per assumere la direzione del 'Popolo d’Italia': voleva schierare la propria parte tra le fazioni interventiste. L’Italia era ancora indecisa, il governo nicchiava: l’occasione di prendere posto tra le nazioni d’Europa faceva gola a tutti, Re e Primi ministri, anche se la stragrande maggioranza del Paese tendeva la mano alla pace, fondando le proprie ragioni nella lunga tradizione cattolica e socialista. Filippo Tommaso Marinetti (l'altro protagonista), propugnava l’entrata in guerra e predicava da sempre la “guerra sola igiene del mondo”. Una posizione decisamente antitetica a quella di Mussolini di cui l’ex direttore doveva per forza tener conto, essendo entrato da poco nelle fila di coloro che, dell’intervento, avevano fatto la bandiera fin dal primo agosto. La sua posizione, doveva essere traballante e poco sicura: i finanziatori del nuovo giornale, sostenitori dell’azione, non potevano fidarsi completamente. Solo qualche mese prima (giugno del ‘14) aveva sostenuto dalle colonne dell’Avanti i moti popolari della settimana rossa, spaventando un po’ tutti coi suoi toni notoriamente accesi e giornalisticamente assai bellicosi. Era l’epoca dell’anarchismo spavaldo, dei proclami e degli editti, in Italia come all’ estero. La guerra appena scoppiata aveva momentaneamente messo a tacere le voci e la Nazione doveva agire. Come fidarsi, di un rivoluzionario che voleva passare dalla parte del governo? Lo spettacolo ci illustra come questi due personaggi, dotati entrambi di un forte temperamento e di un  carattere dominante, conciliarono le tendenze politiche influenzandosi reciprocamente e creando (forse involontariamente) un mostro che sarebbe sfuggito loro di mano, causando dolori e profonde ferite ancora oggi non interamente rimarginate.




foto di Adriana Argalia

 


 

 

LA STORIA E LA POLITICA
AGLI ESORDI DEL NOVECENTO

Ovvero quando la propaganda
decise i destini dell’uomo

 

La politica non è mai stata vicina alla gente né viene facilmente compresa, neppure quando si schiera apertamente o proclama a chiare lettere cosa vuole fare. Miscuglio inestricabile di decisioni e compromessi, ha spesso finto (o cercato di) secondare chi avrebbe dovuto servire finendo, invece, col soddisfare unicamente le proprie esigenze di potere o addirittura capricci altrui. “L’Estate di San Martino del ’14” di Stefano Cerioni (in scena il 20 aprile nella suggestiva cornice del Teatro Studio Valeria Moriconi di Jesi, ex San Floriano) ricostruisce fittiziamente un episodio della storia italiana cercando di concentrare, in un unico fatto, la spiegazione politica e personale di decisioni che sconvolsero la vita d’Italia, causarono fatti gravi e luttuosi quali l’entrata in guerra a fianco dell’Intesa, il convulso e repentino affastellarsi di ideologie e pronunciamenti, qualche decennio più tardi persino la nascita delle dittature in Europa. Filippo Tommaso Marinetti e Benito Mussolini nel novembre del 1914 erano due ribelli antagonisti, provocatori maneschi e ‘caratteriali’, ugualmente accaniti contro gli atteggiamenti conservatori della cultura dominante. La loro nascita e le prime esperienze di vita erano state, però, differenti, l’ambiente e le frequentazioni li avevano portati su banchi opposti della barricata. Effetì era figlio di ricchi, Benito di un umile fabbro con simpatie socialiste. L’anarchia della vita li stava avvicinando: entrambi amavano gettare dalla finestra delle loro alterità le tradizioni, cercavano di distinguersi in ogni modo attraverso posizioni oltranziste, usavano giornali e carta stampata per diffondere le idee in cerca di prestigio. Chi all’epoca conquistò veramente chi? L’ipotesi che sottintende Stefano Cerioni è sorprendente e affascina, fa umanamente riflettere. L’autore immagina che quella unione (forse non libera e casuale) dipese non tanto dal carattere o dalle scelte (che erano, per l’appunto, opposte), quanto da strane volontà altere, eventi dipendenti da volontà infelici, vaghe occasioni di dominazione esposte per la prima volta ai raggi della storia. La Prima Guerra Mondiale spinse gli uomini di tutte le nazioni verso posizioni estreme. Fu frutto di decisioni terribili, ebbe conseguenze devastanti. Esiti imprevedibili. L’Italia e l’Europa di allora percorsero sentieri politici ottocenteschi, forse addirittura precedenti, di secoli e secoli anteriori: Sacri Imperi Centrali, predomini su intere popolazioni, prevalenza di grandi nazioni su nazioni. Cercavano domini imperituri ed eterni… trovarono strutture del potere assurdamente e rigidamente gerarchiche: alcune monarchie da assolute erano diventate costituzionali, qualche monarchia da monarchia repubblica: ogni rivoluzione (crudele e cruenta nonostante le premesse) aveva sempre riportato i popoli e i governanti al punto di partenza: davanti a tiranni/despoti che poco se ne calavano delle esigenze di chi li aveva aiutati. Dei Napoleoni/Re, insomma: fortemente accentratori, autarchici e impositivi. Detentori di un potere senza limiti e senza parlamenti, eretti su stessi e alteri alle leggi. Filippo Tommaso Marinetti e Benito Mussolini non erano affatto così, agli inizi del Novecento: Effetì (come lo chiamavano affettuosamente gli adepti) aveva eretto la provocazione a stile di vita, elogiato le pulsioni dell’individuo, dichiarato guerra al languore, all’accademismo, alle banalità. Benito Mussolini trascinava le masse, schiamazzava dai lidi della rivoluzione. Era antimonarchico, anticlericale e antitedesco. E pacifista. Entrambi il contrario di quanto sarebbero stati decenni dopo. Due volontà, unite, assieme vinsero un ventennio di potere: eppure nel 1914 detestavano entrambi il consenso, avversavano le consuetudini, erano anarchici ancor prima che borghese e socialista. Come capitò che si trovarono d’accordo? Su cosa concordarono posizioni in apparenza così contrastanti? E’ quello che tenta di spiegarci Stefano Cerioni, con la sua sottile e roboante eco archeologica di un passato distante, foriero di accadimenti eclatanti nonostante ciò ancora poco spiegati e costellati di punti interrogativi. Uomini contro potenti che, una volta assunto il potere, diventarono potenti contro uomini. Cosa significa? Sembra chiedersi stupito l’autore: che, essendo il modello autoritario, un uomo del popolo deve essere per forza uguale allo stampo?
Gian Franco Berti

 


da "Il Messaggero" del 22 aprile 2013

dal "Corriere Adriatico-cultura & spettacoli" del 22 aprile 2013



dalla "Voce della Vallesina" del 21 aprile 2013





foto di Adriana Argalia

da "Il Messaggero - Giorno & Notte" del 17 aprile 2013


dalla "Voce della Vallesina - cultura e società" del 14 aprile 2013

foto di Adriana Argalia


da "il Resto del Carlino" del 14 aprile 2013

Proscenio - Assoluzione di un amore

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Written by: Super User
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Published: 03 April 2012
Hits: 4020

 


Il Centro Studi Calamandrei

presenta
PROSCENIO
in

ASSOLUZIONE DI UN AMORE
di Jean Coti

adattamento e regia
Stefano Tosoni
con
Francesca Tosoni e Stefano Tosoni
voce registrata
Gaia Dellisanti
musiche di
Luciano Matricardi
scenografia di
Stefano Poggi

 


 

 

 


 

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ASSOLUZIONE DI UN AMORE

note di regia

 

“Assoluzione di un amore” è una storia nella storia, vite private che si intrecciano su di un sfondo movimentato e caotico, i cui contorni sfumano in un passato che oscilla tra ricordo nostalgico, violenza critica e idealismo esasperato. Gli anni sono quelli che vanno dal 67' al 77', un decennio controverso e travagliato in cui un'Italia in pieno boom economico-capitalistico deve fare i conti con la forza destabilizzante dei movimenti studenteschi e delle rivolte operaie, con la violenza delle stragi e delle derive terroristiche, dalle BR, ai NAP (Nuclei Armati Proletari), alle bande Nere, un decennio oscuro in cui vengono coniati termini come “strategia della tensione” ed “anni di piombo”.
In questo passato che in Italia non riesce ancora a passare, su cui tutt'oggi non è possibile ricostruire una memoria “pubblica” condivisa, la vita privata dei singoli viene spesso travolta dalla forza degli eventi. Gli ardori di una generazione che credeva di poter cambiare il mondo con la forza delle parole e la purezza delle idee si scontra con le logiche di potere, con la ragione di stato, con forze politiche e non, nazionali e non, fin quando la rivoluzione generazionale, sessuale, ideale del biennio 67'-68' si sgretola per riplasmarsi in un cupo magma buio e caotico, dove la lotta armata si fonde e si confonde con una violenza irrazionale e sempre più fine a se stessa.
La storia del nostro Paese è anche la storia di Angelica, una brava ragazza di provincia che scopre l'università, il movimento studentesco, il sesso ma anche l'amore per chi a questo mondo sembra appartenere da sempre e capirlo meglio di lei....e poi?
Poi i ventenni diventano trentenni e tutto cambia: gli studenti preferiscono leggere la Gazzetta dello Sport che preparare cicolistilati, l'impegno politico è filtrato da partiti in cui la distinzione tra destra e sinistra conta meno di una poltrona in parlamento e la lotta comune è ormai ridotta a guerriglia di pochi, le armi sostituiscono le parole, si uccide e si muore.
Angelica uccide e si lascia uccidere da un'idea, da una rivoluzione incompiuta, dalla paura di sbagliare e dall'amore. Gli anni di piombo sono anni densi di fumo: fumo di sigarette, di molotov, di bombe e pistole, fumo che annebbia i pensieri quando la certezza della lotta affronta lo spettro del dubbio, quando si fa largo la consapevolezza che esiste un limite “oltre al quale non si può andare, oltre al quale neppure la rivoluzione è giustificata, oltre al quale è pura follia”.
E' buia l'anima di Angelica, cupa e tormentata dal dolore fisico e dalle lacerazioni dell'io, così come tetra è la cella dove è rinchiusa. Squarci di luce invadono lo spazio, ricordi che spezzano la tenebra dei suoi pensieri e le regalano una lacrima o un sorriso, figure maschili diverse eppure identiche, in cui continua è la ricerca di un contrappeso con cui bilanciare la sua burrasca interiore. Poi arriva Marco, il pubblico ministero, qualcuno che Angelica conosce, o per lo meno ha conosciuto,molto bene. Con lui Angelica ritrova una sé stessa lontana e vicina, con lui tornano sentimenti ed emozioni forti e contrastanti, torna la speranza che in questo marasma di tragedie individuali e collettive qualcosa da “assolvere” esista ancora, torna l'idea che forse, in fondo, “gli opposti si toccano, si completano e sono gli unici che contano”.

 

 

 

Lucio Matricardi (musiche):

nasce a Fermo il 18/12/1978. Costretto a studiare pianoforte ha la fortuna di imparare il solfeggio da un vecchio calzolaio del suo paese, appassionato di ornitologia. Negli anni prosegue gli studi di musica classica e jazz girando l'Italia alla ricerca di musicisti che potessero incrementare la sua ricerca (Paolo di Sabatino, Greg Burk, Phil Markowitz, Daniele di Bonaventura,Ramberto Ciammarughi, Jeff Ballard, Larry Grenadier) e frequenta il corso di arrangiamento per Big Band del professor Filiberto Palermini.
Dal 2000 al 2002 è impegnato con Mauro Macario è in un rècital su Lèo Ferrè, collabora come musicista improvvisatore con la compagnia teatrale Improvvivo e nel 2007 fonda un gruppo, "La prima volta coi fratelli Kronsky", dedicato al riarrangiamento di pezzi dei grandi cantautori italiani.
Nel 2009 compone musiche originali per lo spettacolo "Il trasporto umano", messo in scena nel festival "Janeiro de grande espetàculos" di Recife, in Brasile, mentre nel 2011 compone le musiche originali per lo spettacolo "Leopardinfinito" di Maurizio Boldrini in collaborazione con il Minimo Teatro di Macerata. E' coautore dello spettacolo "L'amore e la Rivolta" con Francesco Ricci e Tony Felicioli, Rècital che mette a confronto tre grandi cantautori (Lèo Ferrè, Fabrizio De Andrè, Chico Buarque De Hollanda) su queste due delicate tematiche.

 

 

Francesca Tosoni (Angelica):

Francesca Tosoni incontra per la prima volta il teatro con un corso di Maurizio Boldrini del Teatro Minimo di Macerata. Dopo un periodo di sosta legato a vicissitudini universitarie ricomincia a lavorare con il fratello, Stefano Tosoni, di cui segue costantemente corsi annuali e seminari da ormai quattro anni. Si lascia convincere da lui a formare l'Associazione Culturale Proscenio, assumendo al suo interno la carica di vice-presidente. Nel frattempo, frequenta anche lezioni e seminari tenuti dagli attori Stefano De Bernardin e Tommaso Benvenuti, approfondisce lo studio della dizione con Gaia Dellisanti e continua il suo percorso con Stefano Tosoni che le affida ruoli da protagonista in diversi lavori dell'associazione, come ne “L'Avaro” di Molière o in “Misura su Misura” (libero adattamento di Misura per Misura di W. Shakespeare), selezionato come spettacolo finalista nel festival Cupra Teatro d'Estate.

“Assoluzione di un amore” è, in un certo senso, il suo debutto e il suo primo vero lavoro da professionista.

 

 

Stefano Poggi (scenografo):

Stefano Poggi è un geometra titolare di un'impresa edile con la passione per la scenografia. Ha frequentato dei corsi per tecnico teatrale tenuti dal Teatro Stabile delle Marche, nonchè un corso di scenografia organizzato all'interno dell'Accademia delle Belle Arti di Macerata. Il suo vero problema però è la profonda amicizia con Stefano Tosoni, che lo costringe a lasciarsi coinvolgere sistematicamente da cinque anni a questa parte nelle sue follie teatrali. Ha disegnato e creato le scene per tutti i lavori dell'Associazione Teatrale Proscenio e sta lavorando sul progetto “Natura morta con sacco”, scritto da Matteo Bacchini, interpretato e diretto da Stefano Tosoni in collaborazione con il centro UOT (Unità di Organizzazione Teatrale) di Parma.

 

 

Gaia Dellisanti (Voce registrata):

Gaia Dellisanti comincia il suo percorso teatrale con la Camera Chiara di Fermo, sotto la guida di Stefano De Bernardin. Prosegue poi lavorando con l'attore Giorgio Contigiani ed entra a far parte della Compagnia Teatrale dell'Università di Macerata, con ruoli da protagonista in due lavori (Il Diavolo Curioso di C. Alvaro e Sogno di una notte di mezza estate di W. Shakespeare) diretti da Roberto Graziosi, con repliche in Italia e all'estero. Da diversi anni approfondisce lo studio della dizione e della lettura espressiva sotto la guida di Sergio Soldani, collaborando poi con le ass. culturali Il Cielo Sopra Berlino e Visioni Service, sia come insegnante di dizione ed avviamento all'espressione, che come attrice e lettrice. Compare nel film “Il cuore debole delle ragazze”, con la regia di Pupi Avati.

 

 

 

Stefano Tosoni (adattamento del testo, regia e tutti i ruoli maschili):

Stefano Tosoni nasce il 29 Maggio del 1976 a Porto San Giorgio, nelle Marche. Mentre si impegna a conseguire una laurea in Economia incrocia i corsi del Teatro del Canguro tenuti da Lino Terra, che lo sceglie poi come protagonista dello spettacolo per ragazzi: “Insomnia”. Da qui, decide di iscriversi alla scuola biennale del Teatro Stabile delle Marche, diplomandosi con successo nel 2001. Nel frattempo è uno dei soci fondatori della Compagnia Vicolo Corto/Hangar Cult Lab, riesce a laurearsi e si ammala definitivamente di teatro, relegando una volta per tutte la sua laurea in un qualche cassetto di casa.

La sua avventura teatrale e la sua formazione spaziano un po' su tutti i fronti: partito con il teatro ragazzi, lavora per diversi anni con la Compagnia Pantakin da Venezia, approfondendo sotto la guida dell'attore-regista Michele Modesto Casarin lo studio della maschera e della Commedia dell'Arte (tra i diversi lavori cui prende parte, c'è “IL CORVO – Favola in Maschera”, vincitore del Leoncino d'Oro come miglior spettacolo del 38° Festival Internazionale del Teatro de la Biennale di Venezia).

Nel 2002 viene scelto personalmente da Carlo Cecchi per il cast dei suoi “SEI PERSONAGGI IN CERCA D'AUTORE”, prodotto dal Teatro Stabile delle Marche e Mercadante di Napoli. Con lui proseguirà fino al 2006 la sua esperienza nel teatro di prosa, con diverse tournèe italiane ed estere.

Ovviamente si interessa anche al teatro d'avanguardia e al teatro off: lavora con il regista palermitano Claudio Collovà come attore ed aiuto-regista nello spettacolo Donne in tempo di guerra (Festival Inteatro di Polverigi, Teatro Garibaldi di Palermo, Festival Unidram di Postdam) e per qualche anno collabora con Matteo Ripari, rivestendo il ruolo di protagonista in diversi lavori di Nessunteatro tra cui “Martedì” di E. Bond, menzione speciale nel 2008 al Festival Nuove Sensibilità di Napoli.

Lavora con il CRT di Milano, facendo parte del cast di Piccolo Mondo Alpino, vincitore del Premio Kantor 2011, regia di Marta Dalla Via. Negli ultimi anni collabora continuativamente e felicemente con Synergie Teatrali di Ascoli Piceno e sotto la guida del regista-attore Stefano Artissunch ha ricoperto importanti ruoli in diversi lavori tra cui: Pene d'amor perdute con Marina Suma, Lisistrata con Gaia De Laurentiis e Gli Innamorati, al fianco di Isa Barzizza e Selvaggia Quattrini. Nel 2011 scrive e dirige BOX LIFE della Compagnia Vicolo Corto.

Fonda insieme alla sorella l'ass. Culturale PROSCENIO.

 

foto di Adriana Argalia


 

 


dal "Corriere Adriatico - weekend" del 18 maggio 2012


“Assoluzione di un amore”
debutta a Jesi

Jesi - Sullo scenario di un decennio travagliato, controverso, in cui l’Italia fa i conti con movimenti studenteschi arrabbiati, rivolte operaie, stragi violente e derive terroristiche, si intrecciano le vicende personali di due giovani. Il decennio del ’68, con tutte le sue sfumature ancora oggi discusse e nella storia, la storia di una ragazza di provincia, Angelica, e di Marco, il grande amore ai tempi dell’università, ma anche il magistrato che ritroverà durante la sua detenzione in carcere. Dall’altra parte della barricata. Lui con la legge, lei con i movimenti studenteschi. E in mezzo, il loro amore mai sopito. Di questo si racconta nel libro “Assoluzione di un amore” scritto dal francese Jean Coti, edito nel 2010 da Affinità Elettive di Ancona e adesso, anche drammaturgia grazie a un’operazione culturale del Centro Studi Calamandrei di Jesi e dell’associazione culturale “Proscenio”, in collaborazione con la Fondazione Pergolesi Spontini e il Comune di Jesi. Lo spettacolo è in programma domani alle ore 21,15 al Teatro Studio Valeria Moriconi.
In scena, il regista-attore Stefano Tosoni (nei panni del pubblico ministero Marco) e la sorella, la prima attrice Francesca Tosoni (Angelica). I fratelli hanno riletto le pagine di questo romanzo scritto da Jean Coti 33 anni fa, cercando di rileggerne vicende, sfumature, dettagli storici e particolarità da tradurre in melodia, grazie all’aiuto dello scenografo Stefano Poggi, della voce narrante di Gaia Dellisanti e le musiche di Lucio Mastricardi. Un debutto per delle pagine rimaste sopite per 33 anni in un cassetto. Debutto, ma anche testimonianza diretta di quegli ‘anni di piombo’, così difficili da rileggere, così complessi da ritrovare in quanto la forza degli eventi aveva travolto la vita dei singoli, così tanto e in modo tanto brutale, da cancellare e distruggere tutte le impronte che avrebbero potuto ricostruire una “memoria pubblica condivisa”. “Assoluzione di un amore” nasce proprio in quegli anni controversi e bui, è una testimonianza diretta, reale, vera. Dal cuore degli anni di piombo, al palcoscenico. E nell’intreccio di queste tragedie individuali, di scontri e contestazioni, di giovani in lotta e di idealismo esasperato, l’amore sopito di una ragazza di provincia finita quasi catapultata dall’università alla lotta armata e al carcere rinasce quando ritrova gli occhi del suo vecchio amore, che intanto è diventato magistrato. In quell’incontro, in quel ritrovarsi di fronte, ma da parti opposte, la protagonista Angelica-Francesca Tosoni ritrova anche la speranza che forse, in tutto quel male e quel caos, qualcosa da salvare c’era, qualcosa da assolvere e non condannare. Trionfa, nel libro di Jean Coti come nello spettacolo “Assoluzione di un amore” di Stefano Tosoni, l’idea che “gli opposti si toccano, si completano e sono gli unici che contano”.

venerdì, 18 maggio 2012

Talita Frezzi

 


 

 

 


 

 

La storia di Angelica, pubblicata da Affinità Elettive, sarà rappresentata al Moriconi

“Assoluzione di un amore”,
dal libro al palcoscenico

Jesi - Ha dormito per 33 anni in un cassetto e ora, il romanzo soluzione di un amore” scritto da Jean Coti trova la luce e viene pubblicato dalle Affinità Elettive di Ancona. Ma oltre al libro, per questo romanzo in cui la storia privata di una ragazza di provincia, Angelica, si intreccia alla storia dell’Italia degli anni di piombo, quelli del decennio ’67-’77, trova vita anche come drammaturgia. Le pagine di Jean Coti scritte in quel lontano 1977 sono state rilette dal regista Stefano Tosoni che ne ha firmato adattamento e regia, affidando alla sorella Francesca Tosoni la struggente e controversa interpretazione dell’Angelica che scopre l’università, il movimento studentesco, il sesso, l’amore fino alla lotta armata. Il Centro Studi Piero Calamandrei di Jesi si fa produttore insieme all’associazione culturale Proscenio di questo spettacolo inedito, che debutterà al teatro studio Valeria Moriconi il 19 maggio alle ore 21,15 grazie anche alla collaborazione della Fondazione Pergolesi Spontini e il patrocinio del Comune, più il sostegno di partner privati.
“Gli anni sono quelli del decennio travagliato e controverso, in cui l’Italia deve fare i conti con la forza destabilizzante dei movimenti studenteschi e delle rivolte operaie – spiega il regista – con la violenza delle stragi e delle derive terroristiche. In questo passato, su cui tutt’oggi non esistono molti documenti per ricostruire una memoria pubblica condivisa, la vita dei singoli viene travolta dagli eventi”. In scena un’intrigante Francesca Tosoni, nel suo primo ruolo da protagonista; mentre la voce registrata fuori scena è di Gaia Dellisanti. Stefano Poggi firma la scenografia, mentre le musiche - dalle inquietudini oniriche alla Tim Burton, fino all’intreccio di violini e momenti cantautorali - sono state scelte con meticolosità da Lucio Matricardi,attento a tradurre in note stati d’animo, tensioni emotive e colpi di scena. Grazie a questa operazione culturale, il libro “Assoluzione di un amore” sarà in vendita alla libreria Incontri a prezzo ridotto. Biglietti: 0731-206888.

ta.fre

domenica, 6 maggio 2012
dal “Corriere Adriatico.it"

ta.fre.,

 


da "Jesi e la Sua Valle" del 5 maggio 2012


 

Roma, Palazzo Giustiniani, 19 maggio 2012

Caro Berti.

seguo con attenzione e interesse le diverse attività svolte dal Centro Piero Calamandrei, del quale mi sento molto più che un presidente onorario "virtuale". Certamente, la mia presenza alle iniziative del Centro non è quella che avrei voluto, ma la mia ideale partecipazione, Le assicuro, è assidua quanto intensa.
Da ultimo, ho rilevato che l'ormai nutrito "cartellone" teatrale è stato felicemente battezzato "esalogia della memoria", suggestiva denominazione di un percorso a tappe attraverso diverse, significative stagioni della nostra storia unitaria.
L'adattamento teatrale del libro Assoluzione di un amore di Jean Coti mi è parsa un'ottima iniziativa per avvicinare un pubblico se non più vasto, certamente diversificato rispetto a quello dei lettori a temi tuttora rappresentanti una ferita dolente del nostro corpo sociale, che recenti, inquietanti episodi concorrono a riacutizzare. Una iniziativa, dunque, benemerita come occasione per trarre dai fantasmi del passato un monito per il presente.
L'aspetto che desidero sottolineare con forza, come quello maggiormente degno di considerazione e di plauso incondizionato, è però l'aver deciso di dedicare l'iniziativa alla memoria di Carlo Casalegno.
Carlo Casalegno vuol dire Torino e "La Stampa". Sappiamo che cosa Torino rappresenti nella storia d'Italia, dal Risorgimento alla Resistenza, al dopoguerra del nostro "miracolo economico". Torino, città dei Gobetti, dei Venturi, dei Galante Garrone, dei Foa, per ricordarne solo alcuni, mentre nel menzionarli già avverto il disagio di omissioni imposte dallo spazio, ma non da volontà immemore. "La Stampa", palestra di virtù civili degli Einaudi, dei Frassati, dei Bobbio.
Ho avuto Arrigo Levi, già direttore della Stampa, come stretto collaboratore, oltre che amico, nei miei anni al Quirinale e non poche sono state le occasioni in cui egli ricordava con rimpianto la figura umana e professionale di Carlo Casalegno e con angoscia l'attentato e i giorni drammatici che seguirono.
Di Casalegno tornammo a parlare a lungo all'approssimarsi del venticinquennale della morte. Non avevo conosciuto personalmente Casalegno, ma di quel parlarne con Levi ricavai, mi rimase dentro, una immagine precisa e viva, che cercai di tradurre in poche, sentite parole nel messaggio da me inviato nel novembre del 2002, in occasione della commemorazione del giornalista.
E' con quelle stesse parole che vorrei lo ricordassimo insieme oggi.

"La sua volontà di comprensione ispirò il suo impegno quotidiano in difesa della legalità e della democrazia. E' stato avversario irriducibile e temuto del terrorismo, che scelse di colpirlo come simbolo di un giornalismo alto, rigoroso, coerente".

Ancora grazie, Presidente Berti, per il Suo impegno nel Centro Calamandrei; grazie, soprattutto, a coloro che hanno a vario titolo collaborato per onorare la memoria di Carlo Casalegno.
A tutti, il mio saluto affettuoso.

Carlo Azeglio Ciampi


da

 

Mise en scéne di una assoluzione

 

Trasporre per la scena un testo originariamente scritto per la lettura non è facile, soprattutto per libri come ‘Assoluzione di un amore’, che gioca dalla prima all’ultima pagina con piani narrativi sconnessi e quasi mai immediatamente successivi o in prologo. I ricordi sono confusi nel tempo. Eppure il testo funziona, come nel libro a teatro. La sua forza letteraria e di parola risiede nella medesima idea: spiegare le ragioni di un dramma cercandone a ritroso le ragioni, i prodromi, le motivazioni, la nascita… come farebbe, per istinto o disperazione, un salmone che risale con incredibile forza la corrente prima di morire. ‘Assoluzione di un amore’ ha per tema una sconfitta. E ha, caso strano, per protagonista una donna, Angelica, che ha scelto la via più difficile per emanciparsi e rendersi libera: la lotta omicida senza possibilità di ritorno. E’ appena arrestata: ferita, dorme assalita dai dubbi sopra un letto di ospedale. Ha assassinato un uomo, ricorda e sa soltanto questo. Ricorda a malapena chi fosse. La scelta è stata assurda. Solo questo ha di certo. La scelta è stata assurda. La memoria vacilla tra lacerazioni e rimorsi, la mente cerca riparo, tenta in qualche modo di giustificarsi: il gendarme che l’ha catturata come una matrioska cede il posto al padre eroe della Resistenza che le parla ma non la ascolta, le ribatte ma non cede. La figura di padre resta sempre in scena. Rinunciando alla sua educazione assume le sembianze del giudice che la condanna, del compagno/amante che l’ha istruita in Università, del capo cellula che, lo sguardo torvo e sinistro, l’ha raccolta dal corteo da cui urlava slogan dandole in mano una pistola rubata in cerca di bersagli. Pur non ricostruendo il libro nei dettagli (sarebbe difficile, trattandosi di un affresco completo di tempi e luoghi storici), la regia di Stefano Tosoni ci regala al posto delle città il paesaggio interiore di Angelica. Claustrofobico, claustrale, rigoroso, in cerca di un raggio di sole nell’oscurità del tunnel. Dubbi di una intera generazione. Anni Settanta di accuse fatte e ricevute, tormenti, sfociare di paure in rimorsi e azioni in rinunce. Eppure gli attori sono sempre due, nella scena come nella vita: regista e attrice, agente di pubblica sicurezza e terrorista, figlia e padre, moglie e marito, imputata e giudice, gregaria e capo. Una donna in cerca di autore? Le scelte sono figlie di passioni e rapporti mal consumati. “Ci siamo ‘sconosciuti in tempi di formazione’”, direbbe Calibano al tiranno Prospero. “Non abbiamo vissuto nulla di vero. Siamo stati in un cul de sac dall’inizio alla fine”. Bravi gli attori che divorano il testo e ce lo rendono crudo come nel libro. Bene la produzione, che ha scelto un tema difficile senza paura di essere criticata o ferire. Bene il pubblico… che torna a casa con la sensazione di aver visto, sbirciando dal buco della serratura, un pezzo d’Italia che si consumò nel giro di qualche anno, nel vortice di un tango, bruciando nel falò di qualche sparo la parte migliore di sé. "

Stefano Cerioni

 


 

 


foto di Adriana Argalia

 

 


 


venerdì 1 giugno 2012

 

 


 

 

"ASSOLUZIONE DI UN AMORE

di Agnese Galatolo
classe III del Liceo Scientifico Leonardo da Vinci - Jesi


Noi giovani siamo impulsivi e tendiamo agli eccessi. Vediamo soltanto le vie opposte e mai quelle intermedie. Non ci rendiamo conto, quindi, che a questo mondo non c'è mai una netta distinzione tra torto e ragione, tra menzogna e verità, tra attacco e difesa. Il confine è sempre sottile e la linea che lo segna poco visibile, specialmente per chi si trova a un passo da superarla. E quando ci si trova li, a piochi centimetri di distanza, non si ha molta scelta: o si fa un passo indietro o si fa un passo avanti. Angelica, la protagonista di questo spettacolo, non è stata capace di fare il passo giusto. Nell'arco di dieci anni, gli splendidi ideali che aveva quando era una studentessa universitaria, quando, nel 1968, partecipava alle manifestazioni studentesche, l'hanno condotta al limite estremo della ragione e della verità, sulla linea di confine tra la difesa dei propri diritti e l'attacco a quelli degli altri. Seguire ciecamente non tanto i propri ideali, ma qualcuno che sembrava incarnarli, l'ha infine portata a farsi trascinare in qualcosa di molto più grande di lei. in questo modo Angelica, che voleva la libertà, la possibilità di decidere del proprio futuro senza essere un burattino nelle mani di coloro che stanno al vertice del sistema, si è ritrovata ancora più schiava e fragile e con un futuro distrutto dalle sue stesse mani. Angelica a vent'anni voleva l'amore e quando Marco ha avuto paura e, fuggendo, di passi indietro ne ha fatti anche troppi, si è ritrovata accecata anche dalla delusione. Nel 1968 Marco frequentava la sua università e ogni giorno teneva discorsi che ammaliavano folle di giovani pronte e forse bisognose di investire ogni loro energia in un ideale, in uno scopo comune. Marco, però, era tra i pochi che sapevano bene che " volantini e altoparlanti contro pistole e manganelli" era una lotta impari, ma che non poteva essere altrimenti perché il sistema che cercavano di combattere non aspettava altro che facessero un passo falso e passassero dalla parte del torto. Sì, un passo. Un passo ha diviso i destini di Marco e Angelica, perché lei, abbandonata da marco e convinta di dover "cadere sul campo", dopo il primo passo si è lasciata trascinare molto oltre il confine ed è diventata una nappista, mentre Marco ha ceduto alla paura. A distanza di dieci anni Angelica è accusata di omicidio e Marco è il, magistrato che si occupa del suo caso. la situazione però si evolverà, perché Marco, che credeva di poter cambiare il sistema dall'interno, parlando con angelica si renderà conto che anche tutti i suoi ideali sono crollati.
La drammaticità di questa storia, che coglie in pieno il contrasto tra i sogni e i progetti di due ragazzi e la realtà in cui devono essere realizzati, tra due generazioni che soffrono per problemi diversi e che tendono entrambe a sminuire il dolore dell'altra, è resa da una recitazione straordinaria, da un linguaggio vivo e realistico e dalla tensione che l'intreccio di flashback e flashforward contribuisce a creare.

 

 


 

 

 


 

 

 

 

 


 

 

 



 

grafica di Francesca Tilio



 

 

 


 

 


 

da "Il Messaggero - Giorno & Notte" di Martedì 31 luglio 2012


 

 

 



30 gennaio 2013

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Il decennio di Angelica tra amori e lotte

A Porto San Giorgio l'associazione 'Proscenio' porta in scena gli anni di piombo

Il presidente Tosoni: «La storia del nostro paese è anche quella della ragazza protagonista sul palco»

Porto San Giorgio, 30 gennaio 2013 - UNA STORIA che si staglia nella storia: vite private che si intrecciano sullo sfondo movimentato e caotico, gli anni che vanno dal '67 al '77. Decennio controverso, travagliato. Uno spettacolo sicuramente interessante 'Assoluzione di un amore', che sarà portato in scena domani alle 21.15 al teatro comunale di Porto San Giorgio. E' la prima produzione professionale dell'associazione culturale sangiorgese 'Proscenio', in collaborazione con il centro studi 'Piero Calamandrei' di Jesi che, grazie a questo lavoro presentato a Sirolo la scorsa estate, si è aggiudicato il premio 'Enriquez 2012' per l'impegno civile, categoria teatro.

Il tutto è stato commissionato e prodotto dal centro studi 'Calamandrei'. Stefano Tosoni ne ha curato drammaturgia e regia e interpreta tutti i ruoli maschili del dramma. Al suo fianco, la sorella Francesca Tosoni, al debutto da professionista. Le musiche originali sono state composte da Lucio Matricardi e le scene sono di Stefano Poggi: tutti sangiorgesi. Lo spettacolo è tratto dal romanzo omonimo di Jean Coti.

«LA STORIA del nostro paese è anche la storia di Angelica - racconta Stefano Tosoni, presidente di 'Proscenio' e regista dello spettacolo - , una brava ragazza di provincia che scopre l'università, il movimento studentesco, il sesso ma anche l'amore. Poi i ventenni diventano trentenni e tutto cambia: gli studenti preferiscono leggere la 'Gazzetta dello Sport' che preparare ciclostilati, l'impegno politico è filtrato da partiti in cui la distinzione tra destra e sinistra conta meno di una poltrona in parlamento. E la lotta comune è ormai ridotta a guerriglia di pochi, le armi sostituiscono le parole, si uccide e si muore. Angelica uccide e si lascia uccidere da un'idea, da una rivoluzione incompiuta, dalla paura di sbagliare e dall'amore. Gli anni di piombo sono anni densi di fumo: fumo di sigarette, di molotov, di bombe e pistole, fumo che annebbia i pensieri quando la certezza della lotta affronta lo spettro del dubbio, quando si fa largo la consapevolezza che esiste un limite oltre al quale non si può andare, oltre al quale neppure la rivoluzione è giustificata, oltre al quale è pura follia». Ingresso 15 euro, ridotto 10. Per infor e prenotazioni: 0734 902107 - 071 2072439.

dal Resto del Carlino (Fermo) del 30.01.2013


 

Assoluzione di un amore / leggi anche ...........

  1. Onafifetti - parolepotere 3
  2. 2018 B segnalazioni libri
  3. 2011 N corrispondenza Ciampi
  4. Teatroluce - il sarto in fondo

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